
Oggi voglio parlarvi di una teoria molto interessante ed attuale: la “teoria dell’identità sociale” di H. Tajfel. Tale teoria descrive alcuni meccanismi mentali che noi essere umani siamo soliti utilizzare, e che sono alla base di stereotipi e di pregiudizi: la categorizzazione e l’accentuazione.
La categorizzazione consiste nella semplificazione della realtà, la quale viene schematizzata e forzata all’interno di categorie prestabilite. Questo è il meccanismo principale attraverso cui funzionano gli stereotipi. Noi inseriamo persone, cose, situazioni, animali ecc…in delle categorie, dopo di che operiamo delle euristiche di pensiero, e cioè delle scorciatoie mentali, in base alle quali diamo per scontato che chi rientra in una determinata categoria avrà tutte le caratteristiche proprie di quella categoria, generalizzando.
Lo stereotipo, se associato a fattori emotivi o sociali particolari, può degenerare in un pregiudizio, e cioè in una valutazione e un atteggiamento, solitamente negativo, verso una categoria di persone, basanto non su una conoscenza diretta di queste, ma su generalizzazioni. L’individuo non è, cioè, giudicato in base a delle proprie caratteristiche, ma in quanto membro di una categoria. Esempi sono i pregiudizi razziali o comunque legati all’appartenenza geografica.Gli stereotipi e i pregiudizi cominciano ad agire fin dal livello della percezione. Questo è possibile grazie all’accentuazione, un processo che consiste nell’aumentare, esagerando, le differenze tra gli elementi appartenenti a categorie diverse, e a minimizzare, fino ad eliminare, le differenze tra gli elementi appartenenti alla stessa categoria.
Secondo Tajfel noi non ci limitiamo a classificare cose e persone in categorie generali, ma includiamo noi stessi in tale classificazione: cerchiamo, cioè, di stabilire a quali di queste categorie noi apparteniamo. In questo modo definiamo la nostra identità sociale, cioè il complesso dei tratti che ci caratterizza e ci distingue nel confronto con gli altri.
Questo fenomeno è molto evidente tra gli adolescenti, che cercano di crearsi una propria identità sperimentandosi nei diversi gruppi sociali, e definendosi totalmente in base a questa appartenenza. I gruppi liceali sono solitamente oggetto di clichè nei film e telfilm per ragazzi: troviamo i gruppi dei “secchioni”, dei “popolari”; dei “punk”; degli “sportivi” ecc…
Il risultato di questa operazione consiste nella contrapposizione tra l’ingroup (il nostro gruppo) e l’outgroup (gli altri gruppi). Questa contrapposizione viene effettuata con una condotta marcatamente segnata da errori di valutazione in favore del proprio ingroup. Il proprio gruppo viene, infatti, considerato migliore rispetto agli "altri", i quali vengono continuamente svalutati o confrontati in chiave critica.Questo processo di continua svalutazione dell’altro, e di percezione di appartenenza al gruppo “migliore”, contribuisce a rafforzare il proprio senso di sicurezza e la propria autostima, la quale, nei casi più gravi, può finire col derivare unicamente dalla propria appartenenza al gruppo. Questo fenomeno può quindi portare alla continua ricerca di occasioni di "confronto sociale", come modalità per rafforzare la propria autostima. Esempi classici sono i continui confronti tra opposte tifoserie del tifo organizzato, o lo sviluppo di atteggiamenti razzisti nei confronti degli immigrati…
Utilizzare queste modalità cognitive ci permette di organizzare la realtà, dandoci l’illusione di conoscerla e di poterla controllare. Tuttavia ragionamenti di questo genere non lasciano spazio alla costruzione di identità alternative. Ritornando all’esempio dei gruppi liceali, nei film vi sarà sempre una contrapposizione tra “popolari” e “secchioni”: i primi percepiti unicamente come belli, cattivi e superficiali, i secondi come intelligenti, ma brutti e senza buon gusto. È evidente come una categorizzazione di questo genere non lasci spazio all’individualità, al poter sperimentare caratteristiche di entrambi i gruppi, potendo decidere di essere, ad esempio, contemporaneamente intelligente, socievole e amante della musica metal!
Altro lato negativo sta proprio nel valutarsi unicamente in quanto membro di un gruppo. Il rischio può essere che, in caso di allontanamento del gruppo, il soggetto può sentirsi confuso, sperimentando forti sentimenti di sofferenza e rabbia, dovuti alla percezione di aver perso la propria identità.
Nonostante le possibili conseguenze negative, euristiche di pensiero vengono messe in atto tutti i giorni, anche in maniera meno evidente;pensiamo a proverbi quali “Non giudicare un libro dalla copertina”; “non è tutto oro quello che luccica”. Sarà capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di cadere in errore formulando giudizi indiscutibili rispetto ad una situazione, a qualcuno o a qualcosa, a partire da poche informazioni. Es:mentre stiamo rientrando a casa vediamo un nostro conoscente passeggiare sul marciapiede di fronte a noi. Gli sorridiamo per salutarlo ma lui ci ignora. Questa mancanza di reazione potrebbe lasciarci pensare che questa persona abbia qualcosa contro di noi, mentre in realtà potrebbe essere sovrappensiero o anche senza occhiali da vista!
Di esempi se ne potrebbero fare a bizzeffe, provate anche voi a pensare a qualche situazione in cui vi è successo qualcosa di simile, sono piuttosto certa che ognuno di noi possa ritornare ad almeno un esempio. Quando mettiamo in atto comportamenti di questo genere stiamo saltando alle conclusioni, senza avere prima ottenuto tutte le informazioni che ci permetterebbero di effettuare un ragionamento più accurato.
Qual è il problema principale di questa modalità di ragionamento? la risposta è che spesso, una volta che abbiamo etichettato una persona come “buona” o “cattiva”; “simpatica” o “antipatica”; “affidabile” o “inaffidabile” ecc…tale giudizio tenderà a rimanere per noi stabile, difficilmente lo metteremo in discussione. Ciò può limitare la quantità e la qualità dei nostri rapporti sociali, impedendoci di stringere dei rapporti o anche causando problemi di coppia; esso può anche procurarci problemi a lavoro, in quanto effettuare giudizi affrettati potrebbe farci cadere facilmente in errore, ostacolando l’ottenimento di quella promozione, oppure potremmo inquadrare in maniera affrettata il nostro superiore o i nostri dipendenti, non mettendoci nella condizione di effettuare un buon lavoro di squadra.
Ma come mai noi esseri umani abbiamo la tendenza a comportarci in questo modo?
Mentre il senso comune ci dice che la percezione corrisponde ad una fedele registrazione sensoriale della realtà, la verità è che, come numerose illusioni ci dimostrano (es: illusione di muller-lyer, il triangolo di Kanizsa, ecc…), non vi è sempre corrispondenza tra realtà fisica e percettiva.
L’illusione di muller-lyer è un'illusione visiva che consiste nella percezione di una linea più lunga o più corta a seconda dell’angolo posto alla sua estremità.
L’illusione del triangolo di Kanizsa prevede che l’occhio umano veda due triangoli, quando in realtà nessuno di essi è stato disegnato.
Come ci dicevamo, è tutta questione di economia! Il nostro cervello funziona in modo da minimizzare lo sforzo cognitivo. Esso non può immagazzinare ed elaborare tutte le informazioni sensoriali presenti nell’ambiente perché correrebbe il rischio di andare in sovraccarico di informazioni. Per questo motivo, e in maniera automatica, il nostro sistema nervoso centrale “sceglie per noi” solo quegli elementi che ritiene più importanti.
Pensiamo ad un nostro antenato alle prese con una sessione di caccia nella preistoria, egli non aveva il tempo di immagazzinare e di elaborare tutti gli stimoli possibili ma doveva soffermarsi solo su alcune caratteristiche che gli avrebbero consentito la sopravvivenza (es: l’animale ha le zanne? è piccolo? è grande? ecc…).
Ancora oggi questo meccanismo, che potremmo paragonare ad un “filtro”, ci aiuta a prendere decisioni in maniera rapida e funzionale alle continue richieste ambientali. Tuttavia questo meccanismo, se da un lato ci consente di velocizzare i processi mentali e di risparmiare energie, dall’altro può portarci, come ci dicevamo ad inizio articolo, a formulare valutazioni inadeguate e limitate.
Come evitare di utilizzare queste modalità cognitive?
Prima di tutto è importante cercare una via di mezzo tra:
-Effettuare una valutazione affrettata, il cui rischio, come abbiamo visto, è che può portare ad effettuare giudizi errati e granitici rispetto alla realtà;
-Essere eccessivamente accurati, che comporta un dispendio eccessivo di tempo e di energie per prendere anche la più semplice delle decisioni.
Non esiste una formula magica per evitare che ciò accada, ma già avere una buona consapevolezza di come potremmo non avere sempre ragione sin da subito, ci può portare ad una maggiore apertura mentale.
È importante, inoltre, chiederci quanto questi stereotipi e/o pregiudizi derivino da una nostra esperienza diretta o da un retaggio culturale.
Di fronte ad una situazione “ambigua”, possiamo poi provare a porci alcune domande:
•Posseggo tutte le informazioni possibili circa questa situazione? c’è qualche elemento che non conosco e che mi aiuterebbe a vederci più chiaro?
•Possono esserci spiegazioni alternative alla mia idea principale?
•Posso confrontarmi con qualcuno per vedere se la pensa al mio stesso modo?
•Posso mettermi dalla prospettiva dell’altra persona, per capire il suo punto di vista?
Non è detto che ponendoci queste domande riusciremo ad avere un quadro completo di quello che accade. Sicuramente, però, riusciremo a porci in una prospettiva più allargata, acquistando consapevolezza rispetto alla possibilità che la nostra idea, la nostra percezione e il nostro punto di vista, possano non essere completamente esatti.